Alessandro Morandotti
Leggi i suoi articoliProfessor Zeri, lei in più di un'occasione ha affermato che il lavoro del conoscitore deve precedere quello dello storico. Ci vuole ricordare la sua posizione a questo proposito?
Credo si possa essere dei grandi conoscitori senza essere degli storici, ma non si può certo essere degli storici senza essere dei buoni conoscitori: o perlomeno lo storico deve comunque sempre lavorare sulle opere d'arte già classificate da buoni conoscitori. Come si può interpretare la pittura di età paleocristiana se prima non la si è perfettamente datata o come è possibile ricostruire la storia della pittura fiorentina del Trecento se prima non abbiamo riconosciuto gli autori delle opere e ordinato in serie omogenee le opere anonime?
Senza l'intervento del conoscitore la storia diventa un mito, una favola, come è spesso successo nel passato. È chiaro però che la storia dell'arte è solo una faccia di una storia più generale: sono contro la storia dell'arte che analizza solo le forme e gli stili; tanto più che fino ad oggi la storia dell'arte, soprattutto in Italia, ha analizzato solo un aspetto della produzione figurativa, quella destinata alle élite. Gli storici dell'arte dovrebbero ridare dignità a documenti figurativi di grande interesse storico come gli ex-voto o, parlando dell'arte del XX secolo, qualsiasi analisi sensata non dovrebbe prescindere da documenti interessantissimi come le affiche pubblicitarie o le copertine dei dischi.
Secondo lei oggi c'è ancora molto lavoro per i conoscitori nel campo dell'arte antica?
Se lei per arte antica intende la produzione anteriore al 1800-1820 ci sono certamente molte aree inesplorate; però bisogna mettersi d'accordo su quale è il territorio e il materiale da esplorare. C'è una scelta a monte operata da chi studia: nel senso che molte aree di produzione artistica vengono ignorate a seconda di chi effettua la ricostruzione.
Molti storici dell'arte, e soprattutto quelli italiani, giudicano il passato solo in base a un criterio qualitativo, ma esistono infinite produzioni figurative scarsamente o per nulla esplorate che hanno diritto di entrare in una storia. Abbiamo già accennato agli ex voto, che rappresentano il cibo figurativo dell'80-90% della popolazione italiana del passato: che aveva una cultura popolare e non una cultura aristocratica come quella che studiano gli storici dell'arte; così pure nessuno studia le icone cosiddette greche o veneto-bizantine: è una grave lacuna della nostra disciplina, che giudica la produzione artistica unicamente sulla base di criteri qualitativi.
Se questi parametri qualitativi (che sono veri e propri pregiudizi) non possono essere applicati a certe produzioni, esse vengono eliminate dal panorama degli studi. Per quello che riguarda poi l'arte destinata alle élite c'è ancora moltissimo da fare: ci sono delle zone d'Europa e anche d'Italia che sono completamente sconosciute. Per esempio l'arte dell'Italia meridionale comincia solo ora ad essere studiata seriamente. E, infine, una regione interessantissima come la Sicilia è un territorio quasi inesplorato: c'è moltissimo da fare nel campo dell'arte siciliana, nella scultura e nelle arti applicate.
Crede invece che ci siano autori, periodi storici o aree geografiche già perfettamente «bonificate» dal lavoro di classificazione dei conoscitori, sui quali il lavoro dello storico può procedere senza problemi?
Ogni generazione vede il passato secondo un proprio punto di vista, perché è diversa l'esperienza di chi lo osserva: le storicizzazioni che sembrano definitive in realtà cambiano nel giro di pochi decenni. Oggi, per esempio, il panorama dell'arte italiana è molto cambiato rispetto a quello di un secolo fa: allora l'arte fiorentina era l'unica considerata veramente degna di nota, mentre oggi noi ci siamo accorti che esiste, ad esempio, anche un'arte lombarda.
E lo stesso accade anche per altre aree geografiche: ci sono stati periodi storici o tenitori la cui produzione era fino a poco tempo fa completamente ignorato o considerata non interessante. Lo studio dei primitivi francesi, ad esempio, è un risultato piuttosto recente della storiografia artistica: oddio, sta durando dall'inizio di questo secolo, ma una classificazione sistematica, una loro rivalutazione critica è solo recente.
Insomma la verità è questa: ogni vero storico dell'arte deve riesaminare tutto da capo. Tutto, anche la Cappella Sistina: sia dal punto di vista filologico che da quello della storicizzazione. Non esiste una storia definitiva. Lei vede che secondo certi studi del recente passato la storia della cultura del mondo antico finisce con la così detta «caduta» (fra virgolette, mi raccomando) dell'Impero d'Occidente, mentre in realtà noi ci stiamo accorgendo che il periodo presunto di decadenza dell'impero romano fu un periodo di evoluzione e trasformazione importantissima, che annuncia il mondo moderno. Non esiste una prospettiva unica di ricerca: bisogna sempre ridiscutere tutto.
Qual è il suo rapporto con la storia? Considera le conoscenze storiche un elemento importante nell'attività di un conoscitore?
Parafrasando una delle mie risposte precedenti potrei dire che non può esistere una storia dell'arte avulsa dalla storia; uno degli errori in cui sono caduti spesso gli storici dell'arte del passato è stato quello di studiare l'evoluzione degli stili artistici senza considerare i rapporti con i fatti sociali ed economici della stessa epoca. La storia dell'arte è solo un segmento di una storia infinitamente più complessa di cui fanno parte la storia sociale, economica, politica e tutte le produzioni dell'umanità. Non si può considerare l'evoluzione di uno stile come un pallone che naviga nel cielo senza alcun legame con la terra che ci sta sotto.
È a causa delle nostre scarse conoscenze storiche che il Barocco è stato vilipeso, distrutto, annientato, considerato di infimo livello nel secolo scorso: quanti monumenti barocchi sono stati devastati per tirare fuori l'ossatura romanica, gotica o rinascimentale degli edifici! Noi invece ci siamo accorti che il Barocco è un periodo di grande creatività e di grande interesse storico. La prospettiva degli studi muta continuamente.
È certo che i conoscitori possono essere influenzati dal loro tempo, dalle aspettative della loro epoca. La rinascita degli studi sui primitivi nel corso del Settecento presuppone la riscoperta storica del Medio Evo nell'età dell'Illuminismo; in ugual modo la riscoperta di Durer e dell'arte tedesca del Rinascimento avviene in Germania nel corso dell'Ottocento in un momento di forti passioni nazionalistiche.
In questi ultimi decenni cosa abbiamo studiato e quale legame c'è con la nostra storia recente?
Per quanto riguarda la prima metà del XX secolo, e considerando il solo panorama italiano, si assiste in questi ultimi anni a una revisione meno manichea rispetto al passato, nel quale tutto è stato giudicato in base al polo dialettico fascismo-antifascismo. Si sta scoprendo che Sironi era un grandissimo artista o che l'ambiente artistico degli anni Venti era di straordinaria vitalità; vitalità che oggi peraltro non c'è più.
In altri campi della ricerca si sta riscoprendo l'importanza del Naturalismo e del Verismo nell'arte dell'Ottocento anche in rapporto alla nascita e alla diffusione degli ideali socialisti: negli anni Venti, Trenta, Quaranta e anche Cinquanta parlare dei quadri di Pellizza da Volpedo o di Ruggero Focardi era quasi un reato mentre oggi invece abbiamo cominciato ad apprezzarne il grande valore; la rinascita dell'interesse per le opere d'arte che hanno rappresentato le classi umili o meno abbienti nella pittura della fine dell'Ottocento è conquista recente e si può datare a partire dal secondo dopoguerra, epoca in cui il nostro paese ha vissuto una profonda trasformazione sociale, passando da un' economia agricola a una realtà industriale: si è cominciato a studiare l'arte di interesse sociale proprio in una nuova epoca di forte mutamento storico-sociale.
Rimane comunque ancora molto da fare: intere zone della produzione figurativa sono ancora dimenticate; certo l'icona non equivale alla Sistina di Michelangelo ma non vedo perché bisogna trascurarne lo studio. Insomma non esiste una storia dell'arte italiana, prodotta anche negli ambienti cosiddetti di sinistra, in cui venga presa in considerazione quella che è stata la produzione figurativa espressa dal proletariato. Così come non si dovrebbe parlare più di storia della letteratura italiana senza analizzare i canti popolari. Tutta la storia della cultura italiana è costituita da un'arte alta e una bassa: tutti studiano quella alta e nessuno quella bassa.
Che cosa pensa della tradizione degli studi di iconografia e iconologia, così come si è andata affermando dai suoi esordi, da Warburg per intenderci, a oggi?
Queste ricerche vanno condotte con una grande razionalità altrimenti si rischia di cadere nel ridicolo, perché certi risultati dell'iconografia e dell'iconologia made in Italy sono barzellette. Le ricerche condotte seriamente sono di estrema importanza perché contrariamente a quello che dicevano gli idealisti e soprattutto Benedetto Croce il soggetto di un'opera d'arte è una porzione del suo stile: basta vedere un modello di realismo ottocentesco per capire che c'è una profonda unità fra soggetto e stile. Certi soggetti vengono proposti solo per certi stili e certe epoche. È per questo che per il conoscitore è importantissimo riconoscere il soggetto dell'opera che sta studiando e la sua diffusione storica.
Può ricordare qualche studio nel quale a suo parere si può riscontrare la sensibilità del conoscitore e la preparazione dello storico?
Sono completamente insoddisfatto delle ricerche dei conoscitori: autori di gorgheggi o vocalizzi letterari ad imitazione del ben più nobile loro maestro Roberto Longhi o di cacce all'inedito utili alla promozione commerciale: la connoisseurship in Italia mi sembra si stia riducendo solo a questo e non mi piace; mi sembra invece che le ricerche più interessanti nel campo storico-artistico siano opera di studiosi stranieri, per i quali è chiaro che le opere del passato vanno studiate in rapporto ai fatti storici e sociali. Un nome sopra tutti: Michael Baxandall. Debbo però dire che in questo campo è stato anticipato in modo spesso ammirevole da Frederick Antal la cui conoscenza è stata per me un'esperienza decisiva.
Questa intervista è stata pubblicata originariamente in «Il Giornale dell'Arte» n. 117, novembre 1993, p. 50
ANNO ZERI
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